Presidio Slow Food: caffè selvatico della foresta di Harenna

Foto: africarivista.it

I migliori caffè del mondo sono coltivati in Etiopia e, ogni anno, vengono raccolte tra le 200 e le 250 tonnellate di chicchi.

Etiopia: le montagne del caffè.

In Etiopia nella foresta di Harenna, una delle più grandi dell’Etiopia che si trova tra le montagne del magnifico Parco nazionale del Bale e a 350 chilometri a sud della capitale Addis Abeba,  c’è un caffè arabica d’eccellenza che cresce spontaneo a quasi duemila metri d’altezza. È unico al mondo, la sua qualità è altissima e viene raccolto dalle donne vestite di giallo, di verde e di blu, camminando per ore nel cuore della foresta di Harenna. Sembra una favola: la loro piccola comunità è rimasta isolata per secoli, continuando a vivere in capanne di paglia e a trasportare il caffè selvatico a dorso d’asino, in grossi sacchi di iuta. La raccolta manuale è spesso ostacolata dalla presenza dei babbuini, che sono ghiotti di ciliegie di caffè.

Non sono previste né la spolatura né la lavatura dei chicchi, fasi cruciali per i caffè dei latino-americani. Si tratta infatti di un caffè “naturale” che, dopo la raccolta, prevede esclusivamente l’essiccazione al sole delle ciliegie su reti sospese (lettini).

Trent’anni fa le cose sono cambiate: l’esercito socialista di Menghistu costruì una strada che arriva fino alla foresta di Harenna. Ed è proprio seguendo questa via che oggi il prezioso caffè Arabica arriva ai mercati della capitale. Un prodotto di alta qualità che nel 2017, una speciale commissione, lo ha premiato come uno dei cinque migliori caffè di tutta l’Africa.

L’Etiopia è il paese di origine del caffè e, dunque, l’unico al mondo in cui si trovano piante allo stato selvatico. Ogni famiglia, da millenni, tosta le sue ciliegie, le pesta nel mortaio e offre il caffè agli ospiti seguendo un rito solenne.

La preparazione del caffè, parte integrante della vita quotidiana etiope, è una cerimonia tradizionale e suggestiva, che accomuna tutte le classi sociali. I chicchi di caffè, sgusciati, sono lavati e tostati su un braciere, fino a quando non raggiungono la giusta colorazione, e poi mostrati agli invitati. La loro fragranza si diffonde grazie a un delicato movimento delle mani.

La polvere ottenuta dalla macinatura nel mortaio viene versata nella jabana, la caffettiera tradizionale, ripiena di acqua bollente. Il primo caffè abol, già zuccherato, si serve alla persona più anziana, poi si passa agli altri due tona e baraka, ottenuti aggiungendo di volta in volta acqua nella jabana. I tre caffè sono serviti con mais, grano oppure orzo tostato.

Foto: africarivista.it

Le bacche, ovvero le ciliegie di caffè, raccolte in piccoli canestri fatti con legno di canna intrecciato, discendono poi verso il villaggio più vicino caricate su asinelli, per giungere in seguito alla Oromia Coffee Farmers Cooperatives Union, ultima tappa prima di prendere il volo verso le torrefazioni occidentali.

Il caffè selvatico della foresta di Harenna ha ottenuto il marchio dei Presìdi Slow Food nel 2012. Attraverso la Oromia Coffee F.C. il presidio esporta il caffè.

Patrimonio da difendere

Quella di Harenna è una foresta meravigliosa e ospita le ultime piante di caffè selvatico al mondo: un patrimonio che l’Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) ha deciso di difendere e tutelare attraverso un progetto di sostegno ai piccoli raccoglitori e ai produttori. Lo porta avanti insieme a Illy e a Unido, l’agenzia delle Nazioni Unite per l’incremento delle attività industriali. Anche Slow Food è da tempo impegnato a promuovere il caffè selvatico della foresta di Harenna. Nel corso degli anni il suo presidio ha consentito di migliorare le tecniche di raccolta e di trasformazione, rafforzato le strutture di essiccazione, promosso il caffè sul mercato locale e internazionale, fornendo nuovi sbocchi commerciali alle associazioni di produttori.

“La vita è troppo breve per bere caffè mediocre. Scegli sempre la qualità e lascia che sia il palato a fare il resto…”

Elisa.

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